giovedì 23 maggio 2013

PUNTO

Non so bene come iniziare, ma conosco bene come finire, con un semplice e stupido punto.
La punteggiatura ha segnato con i suoi respiri i passi cadenzati del tempo necessario, affanno dopo una sigaretta premuta sul fondo di un bicchiere rotto. La lente d'ingrandimento ha aumentato la probabilità di una possibile traduzione di una lingua antica di indecifrabile memoria. Non serve ricordare, le foto sbiadite dai riflessi del tempo registrano la nostra probabile vita analogica. 
Sull'odore indelicato della pelle si sbriciolano frammenti di parole. Le lettere cadono senza senso, senza rincorsa. Abbiamo perso il fiato della scrittura, della composizione, della melodia, i suoni sono inutili, muti, stanchi e le parole scadute. Il codice a barre riporta la data di consumazione (preferibilmente), non oltre.
Decisi di fare un ultimo tentativo, senza più vocali o consonanti, prima le ho rovesciate, ne ho tolto il guscio, le loro grazie, in qualche modo dovevo arrivare al midollo osseo. Quell'essenziale, dove resta comunque difficile trarne il nucleo vitale. 
Di solito rimane una traccia, un'ombra sporca, un profumo, quello dell'attesa. 
Stavolta nulla. Calcolare il vuoto resta difficile, le equazioni delle curve del tempo restano incollate alla radice quadrata.
Punto fissato per separare le distanze, per tenere a bada l'imbarazzo, per appoggiarci in equilibri precari. Come funamboli, ma senza una buona dose di addestramento, rincorriamo le nuvole, restando a galla, fino a toccare quei filamenti di zucchero filato che giocano a creare i sogni. Ma poi di colpo si cade, senza lasciare materia da registrare. La sagoma del corpo scompare in un precipitarsi incondizionato. L'attimo si stupisce, il dopo si inquieta. Coniugazione errata di una espressione sbagliata. Qui e ora, non ora, non qui, distrattamente mi sono lasciato al consumo sregolato di immagini che attraversano lo sguardo fisso. Arrestarsi nell'inquietudine ha carteggiato il cuore, lo ha ridotto ad osso, non pulsa, non vibra, non ritma. La mente non produce pensieri, solo assenze: osservazione dentro lo sguardo contrario. Panico, paura, tremore, di nuovo silenzio. Fin da piccolo ho avuto incertezza delle assenze, ne ho digerito i rumori, le ho distorte, le ho conservate dentro una barattolo di miele e poi li ho diluite con il sale. Punto e virgola, pausa, sintesi di una condizione necessaria. L'emergenza di un principio di indeterminazione risolve il caso. Dettato da una educazione poco corretta e da una sensazione sbagliata, lo smarrimento di fronte a qualcosa di indescrivibile riempie il punto. 
Congedo indisposto del tempo della scrittura. Le parole se ne vanno in fretta, scappano, non hanno tempo di fermarsi; nemmeno io.  Ultima pagina riempita prima del PUNTO. 

martedì 28 agosto 2012

Silenzi

Non mi ricordo più come si rincorrono le parole, mentre le traduzioni dei miei pensieri faticano a sdraiarsi su fogli bianchi. Sul vinile gira distratto un pezzo di Little Richards. Non ho la forza di riprendere la corsa della scrittura, mi manca il fiato e ancor più il coraggio. 
Fatico e sempre più cerco dietro lo specchio un riflesso non sbiadito, ma la luce del sole trattiene l'energia respingendola all'ombra del muro. 
Trattengo il respiro per recuperare più aria possibile per tornare a buttare fuori parole, qualcosa mi frena, mi arresta davanti ad uno schermo nero si abbracciano i miei pochi sogni.
Conto i passi, segno i nomi delle strade e costruisco la mia piccola geografia emozionale, mentre conservo il tempo nello scatto meccanico della macchina sensibile alla luce: apertura e chiusura calibrati per rubare il momento che si appicica sugli occhi dei passanti che mi osservano. Cerco di riguardare da un altro angolo per rassicurarmi che è così come l'ho visto la prima volta. Ma anche stavolta l'errore è un errore di emozione, difficile da calcolare, da decifrare. Assorbo i colori intorno a me e dipingo con lo sguardo un percorso privato, intimo e lascio scivolare la musica fluida nel corpo. Conservo nel barattolo della confettura al sapore di ciliegia il ritmo precario di un procedere lento, mentre in quello delle fragole nascondo le mie allergie, composizione mista per una nuova ricetta al sapore di limone e menta. Cammino e non mi fermo, sono stanco, ma non nei piedi che sorreggono ed equilibrano tutto il corpo e neanche nelle gambe allenate, ma per la prima volta stanco di andare, perchè i miei pensieri si sono fermati per un attimo su una panchina a largo del fiume, della metropoli, della città. Senso di vaghezza, di quel vagare e circumnavigare oltre il paesaggio, oltre lo stridore meccanico delle rotaie che stringe le corde vocali. Allora mi fermo qui e ora, aprendo le mani in cerca dell'intervallo negli occhi aperti dei pesci una parola muta, l'esigenza di un colloquio di sguardi delicati che pesano come ali di farfalla. Cerco di proseguire e a scatti reagisco nell'attesa, di quell'attesa senza parole che mi fa tremare e gioca con le mie emozioni. Silenzio che si emoziona e si abbraccia a ritmo di swing.

sabato 25 giugno 2011

Auf Wiedersehen...


Ultima pedalata nel primo mattino con l'aria pungente che sfiora la schiena, il fiato rotto che spezza la fatica delle gambe. Gli occhi attraversano le strade deserte, mentre si sente il gracchiare dei corvi e si vede il passo discreto degli scoiattoli. Oggi il cielo ha gli occhi azzuri di San Pietroburgo, il cuore di Bonn, il vento di Weimar che scompiglia i capelli e muove sorrisi prima di perdersi nella parte più profonda della foresta nera in direzione di Friburgo, partendo da Karlsruhe.
Ho portato con me nell'anima più profonda i miei silenzi, le mie avventure, le mie traversate. Sento le lingue che girano nella testa e mi confondono. Provo a recuperare le vocali distese sopra a due punti che chiudono il suono. Conservo con gelosia i ricordi, il ritratto di un semplice sorriso che apre il cuore, il riflesso del mio corpo sul posacenere che cattura il cielo e le forme delle nuvole che costruiscono bizzare astrazioni.
Proteggerò il mio quaderno e avrò cura delle parole e delle improbabili traduzioni. Certi sentire non si possono interpretare, ma solamente trasmettere. La superficie della pelle è territorio su cui si scolpiscono le emozioni, mentre il corpo si ferisce e non restano che le cicatrici a segnare le paure. Tocco il piano del tavolo freddo, rettangolare, bianco, dove la musica attraversa la materia e rimbomba fin dentro. Sono arrivato fin qui, sono ripartito molte volte e ritornato riempito di paessaggi, tramonti e passi ancora passi e poi uno sguardo, altri sguardi dove le parole non necessitano di aria, si appartengono nel silenzio che parla più di quello che vorrei raccontare, di quello che sento, di quello che lascio e di ciò che porterò sempre con me...
Lego bene la mia bicicletta all'entrata, ultimo giro di chiave, un viaggio verso qualcosa d'altro... Ritorno con il sole dell'estate, lasciando la neve di Berlino sciolta sulla mie mani screpolate e la primavera sulle spalle piegate dallo zaino e gli occhi pieni di sfumature e di emozioni...
Uno scatto chiude il mio sguardo nel quadrante della macchina e il mio riflesso non è che un teatro d'ombra, un gioco di sagome e specchi dove il tempo si ferma...
Auf Wiedersehen...


martedì 14 giugno 2011

Corpo assente

Allaccio bene le scarpe per non perdere per strada i ricordi. Preparo lo zaino con tutte le occorrenze per un lungo viaggio. Ogni partenza è una prova di coraggio che richiede una buona strategia. Ogni respiro è traccia nell'aria della mia fatica. Cerco di accellerare il passo per non perdere il tramonto, cambio le lancette dell'orologio per competere con il tempo, qui le ore si posticipano e il mio anticipo non basta. Eccomi sono pronto ad emozionarmi nuovamente. Il mio corpo si racconta, mentre sulla pelle si fermano i ritratti dello spazio che attraverso. Sento un leggero brivido sulla schiena, mi accorgo non essere ancora qui, di non essere mai partito e soprattutto di non essere mai arrivato. Faccio fatica ora a gestire i miei movimenti, il mio riflesso si confonde e si perde dentro a questa incredible assenza del corpo.

venerdì 6 maggio 2011

Berlin

Ho rotto il fiato, ma senza recuperare aria a sufficienza per poter fare l'ultimo scatto finale. Questa città mi appartiene come mi appartiene la mia data di nascita. Mi conosci, mi scruti, mi proteggi e la mia ricompensa non è che uno sguardo sottile. Conservo ricordi, mentre appunto dettagli e particolari. Fermo il tempo dietro lo scatto preciso di un'occhio filtrato. L'obiettivo meccanico mi concede di aprire spazi, cercare ombre nascoste. Il mio corpo non si arrende e sulla pelle l'odore del silenzio delle parole. Non resta che un sospiro, mentre osservo il fiume trasportare sogni che si appiccicano come mosche sulla fronte. L'aria è diversa da qualsiasi altro posto fuori da qui, fuori da queste strade. Il mio riflesso sulla finestra della metropolitana è sguardo che si riguarda con occhi diversi, profondi, come profondo è il buio più intenso.
Non voglio scendere, voglio continuare ad andare dentro la notte, dove nessuno mi conosce meglio di te. Non si arresta la mia incredibile scoperta di te dentro di me senza fiato.

mercoledì 20 aprile 2011

Recupero fiato

Recupero fiato prima del traguardo, cerco l'aria migliore, il vento delle buone notizie. Preparare i muscoli allo scatto finale richiede esercizio e concentrazione. Ci vuole coraggio per non perdere la traiettoria. La corsa è ardua, seguirò la linea tratteggiata, ma non basta per recuperare metri.
Sento i polmoni che si aprono, i battiti del cuore aumentano di giri, il corpo reagisce allo sforzo, la pelle brucia. Sento la fatica e il prezzo della corsa. Il sudore scioglie i pensieri, mentre le parole mi provocano reazioni allergiche. Uno starnuto per spazzarle via di nuovo e poi un lungo respiro per riprenderle.
L'aria sembra diversa ora, sospiro forte, butto fuori ciò che rimane dello sforzo. Mi prendo cura di queste poche parole, farò attenzione alle vocali e con una virgola anticiperò l'accento, sospeso nell'aria durante la corsa.

martedì 19 aprile 2011

Dimenticarsi...

Dare peso alla notte per allungare il giorno, trattenere le partenze per non perdere l'arrivo. Sapevo che oggi sarebbe stato un giorno diverso dagli altri. Il sole è entrato senza permesso fin sotto le coperte, mi ha sfiorato nella posizione imprecisa dei sogni e nella sua timidezza più segreta si è fatto rosso.
Proprio quando il cielo ancora conserva la luna, ad est il sole toglie il suo velo, brucia sulla pelle screpolata dai ricordi d'inverno sotto la neve, durante i passi inseguti dalle orme. Sotto l'albero si conservano le ombre nella loro assenza. Strappo un pezzo di carta dal quaderno preferito e traccio con la matita linee e punti per disegnare il valore numerico di questo silenzio. Sull'erba stendo con cura come se fosse la prima occasione, la coperta appena comprata. Ho scelto il colore tenendo conto dei dettagli ai lati, del tessuto e delle cucitare al centro. Tolgo le scarpe consumate dal giorno, a piedi nudi conto le dita e catturo fili d'erba per tenermi in allenamento, come si fa di solito con le parole quando balbettano. Libero i pensieri più faticosi, mi alleno a non perderli, ma conservarli nel loro più pregiato valore. Bisogna manterli nella temperatura ideale per non perdere il sapore. Ho la stessa espressione di quando ero bambino, o almeno credo, mi dicono, penso che era così un tempo. Le foto sbiadite, consumate e nascoste nella valigia nera di pelle con chiusura ermetica, per non far fuggire il tempo, confermano l'espressione di quel momento. Guardo il fiume scorrere e gli alberi specchiarsi in fondo nel loro rovesciarsi, crescendo al contrario, fin dentro l'acqua e poi ancora giù, fino in fondo, ancora più in là...Tutto mi sembra strano, mi sdraio e cado sotto al cielo con gli occhi chiusi e le orecchie disposte ai suoni che la natura mi consegna, come una lettera d'amore. Anticipo le parole con il sangue nel cuore. Quelle parole che mi ronzano intorno dopo le prima sillabe, prima che venga notte scriverò di nuovo di quando ero bambino...C'è ancora tempo per ricordare, intanto mi dimentico sopra questa coperta.

BLOGGARSI BLOGGAMENTE

Ogni mio pensiero apparterà a questo blog: spazio conquistato tra le mie paure e le mie incertezze. Scoprirsi in silenzio, dove nessuno mi conosce. Un velo leggero: confine labile tra il mio essere e il mio non essere. Condizione necessaria per sentirmi bloggato.