I giorni della follia si nascondono in riva la mare, in inverno, quando tutto diventa nulla, quando il vento accarezza la notte, quando di fronte al buio ci sentiamo diversi. Tutto cambia, mutano i linguaggi, sfumano i colori: una lettera trovata in un vecchio cassetto in bianco e nero, strappata ai lati, dove la data non compare, ma si sente solo l'odore del tempo. I calli della mano segano il mio confine, tra ieri e oggi, tra la malattia e l'abitudine. Riconoscersi pazzi, chiudere le tende per non scoprire il velo della nudità. Essere felici mentre tutti non lo sanno. Consapevolezza di una necessità che manca, di un bisogno individuale. Aprire i cancelli della mente, spalancare le finestre della stanza custode dei miei segreti e dei miei urli strazianti. La mia camera oscura, un silenzio nelle mie tasche appena svuotate dagli scarabocchi della notte. Eccomi qui dipingire la mia opera d'arte con pastelli e cera, unica e irripetibile, conservo ancora le mie matite: l'aura della mia vita.
Le mie righe scorrono, precipitano, rimbalzano, si dissolvono in minuscole virgole che seguono la pausa, un mio respiro. Uno strappo nel cuore. Evasione dalla realtà, rifugio nelle mie disabitudini, disaccettazione di ogni mia parola, ma sono felice, consideratemi pazzo perchè ho imparato a volare.
[Mezzanotte. Una tazza di caffè vuota. Una minuscola fastidiosa abitudine che mi ostino a conservare. Nonostante tutto. E ripetere le stesse parole fino a quando hanno perso ogni senso. Ascoltare una serie di suoni e non riconoscerli. Guardarmi allo specchio e dimenticare chi sono. Trascinarmi nel silenzio della città, nella tristezza di una partenza o di un ritorno, nel silenzio solo il rumore dei miei passi e... chiedersi cosa deve seguire alla e. Se deve seguire qualcosa. Se. Cosa ha un senso. Cosa no. Cosa. Annegare in una vuota tristezza ed aggrapparsi ancora una volta - l'ultima? - a quelle fastidiose abitudini, quel disperato tentativo di dare un ordine a ciò che si limita a scorrerti addosso. Posso ancora chiamarla follia?]
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