
Nei dintorni alla luce del sole tutto rimane all'ombra dei vicoli e delle case con le finestre aperte i panni invernali agli ultimi lavaggi primaverili.
La gente passeggia assorta nei propri pensieri.
Il pensare di chi passa, e di chi invece si ferma davanti ad una vetrina come l'attesa di trovare un riparo dalle ultime ore del giorno. Consumo il mio caffè che di diritto l'ora del dopo pranzo necessita, senza zucchero: scelta ragionata dopo anni di continuo sciogliersi di molecole di saccarosio depositate nel fondo della tazzina dove si legge il proprio futuro o si fanno previsioni.
Amaro, "ecco il caffè signore" ( pausa sicera goldoniana), senza lasciare che l'aroma si disperda nell'aria stanca della giornata. Si consuma con velocità febbrile, come di chi ha paura di perdere l'essenza della radice oppure della parola "qahwa"(قهوة) ( etimologia).
Rimango qui ad osservare gli sguardi di chi mi attraversa l'orizzonte. Me ne sto in silenzio a consumarmi la mia pausa dietro a qualche appunto sparso come chicchi di caffè appena tostati.
«Il caffè, per esser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l'amore e caldo come l'inferno»
Mikhail Bakunin
1 commento:
non ti sto dietro con tutte ste citazioni...
:-)
arm.
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